Whisky Rabbit

Whisky Rabbit

lunedì 5 aprile 2010

Alarico: "Il sogno"

Era stata quieta e silente serata, di calmi pensieri marezzata e di rimembranze avara, ch'io quella sera mi coricai sereno, con lieve animo di bei sogni messaggero.
Ma non sempre buon auspicio è sincero oracolo e di ciò non ebbi regalia, ch'ancor ne ignoro ragione.
Nello sonno mi ritrovai in uno strano villaggio, si scorgevan sittanti caseggiati che sembravan ricoprir lo intero mondo e li percorsi tra di loro eran come di carbone tinti; v'eran d'acciaio carrozze, sanza cavalli, mostri lucidi e deformi, ruggivan come belve, marciavano sanza rispetto, sanza timor alcuno; solo di tristi aste avean deferenza, quando loro occhio s'accendea di rabbia ardente; v'eran palazzi si sgraziati che di cielo non avean riguardo, ne di fieri castelli ricordo, bardati da mille lustre vetrate, ma di vita e di colori dimentichi.
Arbusti eran rari e di gabbie prigionieri, selvaggio aspetto avean perso, d'intorno non v'eran fiumi, ne fonti, forse per codesta sciagura bestie eran fuggite altrove in cerca di beveraggi.
E li viandanti non ti facean saluto, eran si tanti e frettolosi che sembravan branco di bovi senza ne dimora ne senno, l'aria era si greve che di gioia non avea più sapore, l'augelli avean perso lo canto, la terra di fiori era dimentica e, quando mi fermai per mirar d'innanzi, vidi beltà solo nello sguardo d'uno bimbo, che parea l'unico a serbar memoria dello mondo ch'io tanto adoro.
Ch'io voleo dimandar dove fosser andati profumi, chi dolci silenzi avesse sottratto, ma di favella più non aveo dono, ne di sguardi trovai conforto e mi sentio come se di quello mondo non fossi gradito ospite, di li mi venne ansia e di fuggir ebbi pensiero, che nessuno sembrava curarsi di mia angoscia, come s'in quello villaggio tutto fosse concesso o forse che disperazione non avesse peso.
Finchè di mia fuga in una via ombrosa trovai rifugio, che finalmente ebbi di mie inquietudini riposo, v'era gatto che di quieto aspetto avea, dama d'anni consunta a lui donava latte, per aver in cambio lo privilegio di carezzar suo morbido dorso, quando mi videro giunger entrambi volser a me sguardo, che felino avea occhi lieti e donna sorriso, solo allora intesi ch'in quello mondo non v'era solo di tristezza convegno...
Alarico

Alarico: "La meretrice"

Di passeggiar in fosche calle aveo brama, ch'a volte sere son adombrate di silente disio, quando sorte condusse allo mio cospetto trasandata dama, di si povero aspetto, ma soave infine; avea grandi occhi e nero crine, di sue mani curato, che bianca pelle cingea con tremula dedizione; luma di luna di sue spalle giungea e con suo cauto incedere si poco palesava, eppur sorriso a me giunse si chiaro che di mio animo irradiò ogni cupo angolo.
Nobildonna non sorride certo a passante, ne signora retta indica, con invitante sguardo, uscio di dimora, che di palesar sua arte non vi fu certo occorrenza.
Restai per uno poco silente, a mirar sue rosee labbra e sua incerta espressione, di carezzevoli lusinghe avvolta ... suo delicato aspetto che luna, egoista, non mostrava si chiaro, forse per lasciar libero spazio a mio pensiero; suo volto era come colle innevato, che di bianca lucentezza d'intorno diffonde; suoi occhi come brezza, che di colpo t'avvolge sanza loco in cui trovar riparo; sua voce come carezza, m'adescava, mi cullava, struggea mie brame, sanza illusione, sanza celato fine, sanza menzognero progetto.
Ed a suo sorriso feci specchio, a suo invito lieta accoglienza, di suo umile pagliericcio mia dimora, di suo profumo mio mondo; in quelli istanti di sincera passione, d'immorale aspetto per lo pubblico pensiero, trovai si sincero conforto, che d'ogni ombra persi rimembranza, di quiete disio.
Poi, nello cammino verso mio giaciglio, mentre luna mi mirava con severo sguardo, aveo in mente una questione:
Qual è, di meretrice, lo sincero aspetto infine ... quello di chi concede propria grazia per pochi danari ... o di chi sa barattarla solo con adulterata promessa ?
Alarico

Alarico: "Li due monelli"

Era di mattino lieto momento, che sole s'era sporto dalle rade nubi, fresca aria d'ottobre, come lieve carezza, m'avvolgea; io sedeo sopra roccia, a mirar fonte che di zampillanti gocce facea concerto e di ciò mai sembrava tediata.
Di silenti momenti mi beavo, che a volte di natura brusio nessuno inquieta, quando due monelli di corsa giunsero; era maschietto alto fino a mio petto, di capelli diritti e sguardo attento, suo sorriso era come sole, quando allo tramonto tutto cielo abbraccia, sue mani brandivan piccolo legno come spada, che s'atteggiava come se, con si temibil arma, mondo potesse sfidar; piccola compagna di ventura gli era appresso, avea due occhi si grandi e teneri che di favella non ravviso per descriver, lunghi capelli in trecce raccolti, che d'in confronto a lei parean crine di gigante e suo corpicino si fragile m'apparve, ch'in mio cor non restò altro che timor per suo delicato aspetto.
Dello loro giocoso indaffararsi m'incantai, che in uno istante vecchio tronco diventò vascello, foglia, saldamente retta da minute dita, vento catturava come se fosse vela, agitate mani fecero d'acqua di fonte tempesta, mareggiata arrivò si forte che spruzzi fino a me giunsero e mio sorriso l'accolse lieti.
Allora di me s'accorsero e loro timorosi sguardi con lo mio fecero incontro, ma cor di bambino bontà si ben sa legger, che serenità tornò subito in loro volto, lo maschietto restò silente, con sua fiera spada in mano, la piccola invece mi venne vicino ed estrasse di sua veste, non so di qual segreta tasca, piccola margherita e me la porse senza proferir favella, ma con sorriso che più di mille parole fece racconto; io ringraziai di quel prezioso tesoro, li guardai allontanarsi, saltellanti come grilli, fiero capitano di ventura e sua compagna d'armi, fino a sparir d'incanto, d'una vecchia porta inghiottiti e d'amorose mani accolti.
Ed intanto miravo quello logorato fiore, provai ad immaginar se vi fosse in codesto mondo gioiello di lui più lucente, monile che di più valesse, ma nulla trovai.
Lo riposi allora tra due miei scritti, nella speranza che sincere parole gli fossero lieta compagnia e lui, a loro, d'ingenuo sentimento ispirazione, fu così che di si ricco tesoro diventai eterno custode.
Alarico

Alarico: "La nascita"

Era una tranquilla mattinata primaverile, di quelle che piove ma a tutti poco interessa, dimora più accogliente appare e tavolo imbandito è sempre cordiale ostello.
Brezza era assente e su li tetti l'acqua tamburellava suadente ninna nanna, così ben pochi ravvisarono un nuovo infante, grinzoso ed urlante, abbagliato dal mondo e insanguinato di materno dolore; eppur si spolmonava, assediato da amorevoli braccia e carezzevoli sguardi.
Di caldo asperso, di morbido panno avvolto, attendeva.
Che a volte proprio nome è eredità, altre pegno, oppur nasce da casuale incedere d'eventi; il mio venne sussurrato dal vento, che quel dì decise di sospinger parole invece che nubi, tre volte fece simil sospiro ed il mio fu Alarico.
Così ch'anche di vento fui figlio, di lui presi spirito libero, laconica flemma e vizio di sparpagliar foglie.